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La crisi economica conseguente alla pandemia rischia di aumentare esponenzialmente anche il numero dei “Non-performing loans” (crediti deteriorati), ovvero di quei mutui garantiti da ipoteca immobiliare che la Banca qualifica come NPL in quanto ritiene altamente improbabile il recupero del dovuto se non con azioni legali-esecutive sull’immobile gravato dalla garanzia reale.
Come noto detti crediti, anche dopo l’avvio della fase esecutiva, possono essere ceduti dalla Banca creditrice in “pacchetti” o singolarmente, mediante operazioni di cessione del credito pro soluto -da sottoporre ad una previa ed opportuna due diligence sulla bontà e convenienza dell’acquisto- anche a società non finanziarie ed a privati, che subentreranno così alla Banca nella procedura esecutiva. Per il debitore la cessione ad un prezzo inferiore da parte della Banca al cessionario aumenta la probabilità di poter anche aspirare all’azzeramento del proprio debito tramite la vendita dell’immobile. Infatti il diritto di credito ha un “valore di circolazione” che dipende non solo dall’importo nominale del credito, ma anche dal grado di solvibilità del debitore e dei suoi garanti (o delle sue garanzie reali) e dal tempo in cui sarà riscosso.
Simili operazioni presentano per l’acquirente elementi di rischio legati, da un lato, alle caratteristiche del credito ed alle relative garanzie reali che lo assistono, e dall’altro all’esito della procedura esecutiva nella quale l’acquirente cessionario subentrerà.
Sulle conseguenze dell’inadempimento di una banca cedente, rea di aver dolosamente ceduto un credito privo delle promesse garanzie reali, si è pronunciata la Cassazione, con la sentenza n.11583/2020, che, per la prima volta in materia di NPL, ha emesso una decisione nell’interesse della legge ex art. 363 III co. cpc, per la particolarità della questione e per il suo carattere di novità, soffermandosi anche sui criteri di valutazione del valore di circolazione del diritto di credito, ed individuando la responsabilità risarcitoria del cedente inadempiente, nei confronti del cessionario che abbia subito un danno dalla diminuzione delle garanzie prospettate all’acquirente come esistenti in occasione dell’affare. Questi i principi di diritto di particolare importanza affermati dalla Suprema Corte in merito al presupposto del risarcimento del danno ed ai criteri di liquidazione dello stesso: 1) “Nel caso di cessione del credito nominalmente assistito da una garanzia reale, qualora quest’ultima risulti nulla, prescritta, estinta o di grado inferiore rispetto a quello indicato dal cedente, il cessionario può agire nei confronti di quest’ultimo ancora prima di aver escusso il debitore ceduto, chiedendo il risarcimento del danno da inadempimento, senza necessità di domandare la risoluzione della cessione, poiché una diminuzione delle garanzie è in sé causativa di un danno patrimoniale immediato ed attuale corrispondente alla diminuzione del valore di circolazione del credito; 2) la liquidazione del danno da diminuzione del valore di circolazione del credito ceduto, derivante dalla mancanza di una garanzia reale promessa dal cedente, deve essere parametrata, con giudizio necessariamente equitativo alla maggiore prevedibile perdita in caso di insolvenza. Tuttavia qualora il cessionario abbia già riscosso il credito in sede esecutiva e sia rimasto insoddisfatto, la liquidazione del danno per il vizio che rende impossibile escutere la garanzia non può avvenire più secondo un criterio prospettico, ma corrisponde in concreto alla minor somma fra la parte del credito rimasta insoddisfatta e l’importo ulteriore che il creditore avrebbe potuto riscuotere in sede esecutiva se egli avesse potuto espropriare il bene che avrebbe dovuto essere oggetto dell’ipoteca mancante”.