Il trust: tra le opzioni per il passaggio generazionale - Analisi in breve - Versatilità dell’istituto anche per altre finalità

Da quasi 30 anni, a seguito dell’entrata in vigore in data 01.01.1992 della Legge n.364/1989 di ratifica della Convenzione dell’Aja 01.07.1985, è possibile istituire anche in Italia il Trust, rapporto giuridico di origine anglosassone. A differenza del “patto di famiglia”, altra opzione prevista dall’ordinamento per agevolare il passaggio generazionale, il trust non è un contratto ma è un atto unilaterale, comprovato per iscritto, con il quale il disponente (o settlor) lo istituisce -con atto tra vivi o per testamento- conferendo uno o più beni, asset, o diritti (es: immobili, mobili, crediti, strumenti finanziari, partecipazioni societarie, liquidità) in un patrimonio separato (“fondo in trust”), che viene affidato al trustee (soggetto fiduciario) nell’interesse di uno o più beneficiari o per fine previamente determinato. Caratteristica immancabile del trust è la “segregazione patrimoniale”, secondo la quale i beni o i diritti trasferiti in trust e per tutta la durata fissata dal disponente, fuoriescono dal patrimonio di quest’ultimo e vanno a costituire un patrimonio separato da quello personale, onde sono intangibili alle pretese di terzi, ed in particolare dei creditori del disponente, del trustee e del beneficiario finale. Il trustee -che può anche essere lo stesso disponente e può a sua volta essere affiancato da un guardiano- ha il potere-dovere di amministrare o disporre dei beni del trust, con lealtà e fedeltà, nell’interesse del beneficiario, rispettando la volontà e i limiti imposti dal settlor nell’atto costitutivo e secondo la legge, evitando conflitti di interesse.

Il trust, grazie alla sua versatilità può rispondere a finalità eterogenee: di famiglia, di garanzia, di liquidazione e pagamento, di solidarietà sociale, per gestire successioni, per la protezione di incapaci o con disabilità gravi (vedasi L.112/2006 “Dopo di noi”), per vincolare somme al mantenimento di minori nell’ambito di separazioni e divorzi, per la costituzione di fondazioni o altri istituti di pubblica utilità, purchè impiegato per il perseguimento di interessi leciti. Come ammesso anche dalle Sezioni Unite della Cassazione con ordinanza del 12.07.2019, detto istituto è legittimamente utilizzabile, anche in Italia, quale “atto tra vivi” per effettuare il cd. passaggio generazionale, mantenendo la continuità e la redditività dell’impresa. Il trust si è delineato, negli anni, come uno strumento di gestione aziendale che consente al disponente di trasferire da subito i beni al trustee e di pianificare, fin da quel momento, in maniera dinamica il patrimonio, nei differenti steps del passaggio generazionale: è possibile infatti diluire le attribuzioni patrimoniali nel tempo sulla base delle esigenze dei beneficiari, per evitare a costoro di divenire fin da subito titolari di importanti somme, o ancora mantenere un margine di indeterminatezza sugli assetti futuri quando, per esempio, se si vogliono rimandare delle scelte da prendersi sulla base del verificarsi di eventi futuri, perché si è in attesa che l’individuato successore dell’impresa sia in grado di occuparsene.

Merita ricordare che, in mancanza di una specifica normativa organica sul trust, la legge di riferimento per la sua istituzione e regolamentazione che verrà scelta dal disponente dovrà essere, anche per i trust interni, peraltro largamente diffusi in Italia per gestire il passaggio generazionale, quella vigente in tema di trust di uno Stato straniero, con il limite dell’inderogabilità della legge italiana in specifiche materie; in ragione di ciò, il trust non potrà essere istituito in frode ai creditori, o in elusione delle regole di protezione dell’affidamento e di tutela della buona fede dei terzi, o mutare le regole che sovraintendono alla circolazione dei beni e alla costituzione di garanzie reali, o disciplinare gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio, o ancora essere strumento esclusivo della protezione dei minori e incapaci, o eludere diritti successori.

Sotto il profilo fiscale, il trust ha una sua soggettività giuridica, essendo stato incluso dal legislatore nei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (art. 73 TUIR). Il dibattito sull’individuazione del momento in cui poi applicare al trust le imposte indirette (di successione, di donazione, ipocatastale e di registro), ha trovato un punto di chiarezza giurisprudenziale, nella pronuncia del 12.09.2019 della Suprema Corte (poi confermata anche il 07.12.2020), secondo la quale -in difformità all’orientamento seguito dall’Agenzia delle Entrate- presupposto per l’applicazione dell’imposizione indiretta non è la costituzione del vincolo di destinazione da parte del settlor, ma solo quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario a compimento e realizzazione del trust medesimo.